Cara Denise, in un periodo in cui tutto va veloce è bello potersi imbattere in queste piccole perle. Ti seguo anche su IG, su cui però ho disattivato l'account da tempo, dopo un periodo di affaticamento mentale da scrolling compulsivo, dove tutto ciò che vedevo era pregno di sdegno e odio. Quel che mi restava addosso era un vuoto enorme. Personalmente su Substack sto ritrovando un mondo che mi piace di più e sento di non essere l'unica, lo vedo.
Mi è sempre piaciuto il tuo modo di raccontare, che fosse scritto o parlato.
Io credo che la creatività non morirà finché ci saranno persone come noi, pronte a dare e ad accogliere.
Mi ritrovo in tante cose che hai scritto. Vengo anch'io dalla periferia romana, sono tornata qui da poco, tra l'altro, dopo 7 anni a Milano, proprio perché sentivo bisogno di rallentare.
Siamo fatti per creare e per relazionarci con l'altro, è tutta qui la vita.
Se dovesse morire la creatività, moriremmo anche noi.
C'è chi ha capacità di esprimersi come te (cosa che invidio tanto, in senso buono) e c'è chi continuerà a commuoversi ritrovandosi nelle parole di altrə (come me). Non abbiamo mai mangiato pasta e facioli insieme, ma ti mando un abbraccio e, quando arriverà, sarò pronta ad accogliere la prossima newsletter.
La tua riflessione mi ha fatto tornare in mente un saggio di Ursula Le Guin che ho letto recentemente. Non lo cito letteralmente perché non lo ricordo in maniera esatta, ma il concetto è che siamo arrivati fin qui, alla morte della creatività in funzione dell'intrattenimento, perché anziché la censura si è scelto di far perdere potere all'arte in un altro modo: depotenziandola, togliendole il potere di cambiare la realtà. Non c'è più bisogno di censurare i libri, o distruggerli, quando non c'è più nessuno che desidera leggerli. E quindi si, forse la creatività è già morta, almeno a queste latitudini.
Bella lettura, ti capisco e ti ringrazio. Ho anche sorriso - ma un sorriso amaro, chiaramente - perché il mio ultimo libro ha dentro gli internet point, e un giornalista che sparisce dopo essersi reso conto che non ouò campare veramente facendo il giornalista. Abbiamo visto sgretolarsi tante cose, ma se sei "come noi", questa fa particolarmente male.
Inizio con il dire che dovremmo essere amiche, anche solo per lamentarci delle stesse cose. Ho 33 anni e sono nel momento di massima creatività della mia vita (suppongo), il che però non sembra avere alcuna rilevanza pratica. Inseguire i miei sogni mi è costato una vita intera e tutte quelle milestone che, pur non togliendomi il sonno, so che, se a un certo punto mi fossi arresa e avessi scelto una vita più semplice – più rispettosa di me stessa, perfino – probabilmente ora avrei una casa (o almeno un affitto che non somigli a quello di uno studente a Bologna nel 2009), una carriera verticale, magari perfino la stabilità necessaria per pensare a un figlio, nel caso mi prendesse bene. Invece mi ritrovo a mandare CV per vendere materassi, perché pare che fare la giornalista culturale sia un hobby che ci si può permettere solo con un secondo lavoro. Se non fosse tragico, sarebbe un film di Nanni Moretti.
Non è che mi aspettassi una gratificazione immediata, ma almeno un qualche segnale che tutto questo stesse portando da qualche parte. Il mio ipotetico libro è lì guardarmi morente perché sono troppo preoccupata del presente per pensare al futuro, più simile a una discesa agli inferi che a una scalata verso il paradiso. Per quanto riceva complimenti nel settore, il tipo di contenuto che produco non è quello di cui ha bisogno il magazine/quotidiano X o Y, che ormai infila pubblicità in ogni angolo – anche dentro gli articoli – pur di riuscire a pagare il minimo salariale ai collaboratori. A questo punto, preferirei non riceverne affatto, di complimenti. Preferirei sapere con certezza di essere un cane maledetto piuttosto che continuare a sospettare che il piacere non sia abbastanza per avere dignità in questo settore, perché non piaci alla gente giusta.
Prima ancora dell’AI, è stato l'ingresso dei social a svuotare tutto. Il consumismo sfrenato, la corsa ai click, alle metriche, ha cancellato ogni spazio che non fosse immediatamente monetizzabile. L’intelligenza artificiale non ha fatto altro che inserirsi in un paesaggio già devastato.
Ne parlavo ieri con il mio ragazzo: ormai Instagram è diventato una vetrina senza interazioni, un posto in cui ricordare di esistere. Nient’altro. Per esempio, io vorrei parlare di libri che ho letto con persone che li hanno letti, e invece mi ritrovo davanti gente che vuole solo essere sommersa di consigli d’acquisto, recensioni polemiche o esaltanti, che vuole vedere infiniti haul di libri che non leggerà mai. Delle riflessioni scaturite dai libri non se ne parla granché. Si è deciso che l’unica passività accettabile è quella che porta a consumare. Onestamente viene voglia di cancellarlo.
Cara Denise, in un periodo in cui tutto va veloce è bello potersi imbattere in queste piccole perle. Ti seguo anche su IG, su cui però ho disattivato l'account da tempo, dopo un periodo di affaticamento mentale da scrolling compulsivo, dove tutto ciò che vedevo era pregno di sdegno e odio. Quel che mi restava addosso era un vuoto enorme. Personalmente su Substack sto ritrovando un mondo che mi piace di più e sento di non essere l'unica, lo vedo.
Mi è sempre piaciuto il tuo modo di raccontare, che fosse scritto o parlato.
Io credo che la creatività non morirà finché ci saranno persone come noi, pronte a dare e ad accogliere.
Mi ritrovo in tante cose che hai scritto. Vengo anch'io dalla periferia romana, sono tornata qui da poco, tra l'altro, dopo 7 anni a Milano, proprio perché sentivo bisogno di rallentare.
Siamo fatti per creare e per relazionarci con l'altro, è tutta qui la vita.
Se dovesse morire la creatività, moriremmo anche noi.
C'è chi ha capacità di esprimersi come te (cosa che invidio tanto, in senso buono) e c'è chi continuerà a commuoversi ritrovandosi nelle parole di altrə (come me). Non abbiamo mai mangiato pasta e facioli insieme, ma ti mando un abbraccio e, quando arriverà, sarò pronta ad accogliere la prossima newsletter.
La tua riflessione mi ha fatto tornare in mente un saggio di Ursula Le Guin che ho letto recentemente. Non lo cito letteralmente perché non lo ricordo in maniera esatta, ma il concetto è che siamo arrivati fin qui, alla morte della creatività in funzione dell'intrattenimento, perché anziché la censura si è scelto di far perdere potere all'arte in un altro modo: depotenziandola, togliendole il potere di cambiare la realtà. Non c'è più bisogno di censurare i libri, o distruggerli, quando non c'è più nessuno che desidera leggerli. E quindi si, forse la creatività è già morta, almeno a queste latitudini.
Bella lettura, ti capisco e ti ringrazio. Ho anche sorriso - ma un sorriso amaro, chiaramente - perché il mio ultimo libro ha dentro gli internet point, e un giornalista che sparisce dopo essersi reso conto che non ouò campare veramente facendo il giornalista. Abbiamo visto sgretolarsi tante cose, ma se sei "come noi", questa fa particolarmente male.
Inizio con il dire che dovremmo essere amiche, anche solo per lamentarci delle stesse cose. Ho 33 anni e sono nel momento di massima creatività della mia vita (suppongo), il che però non sembra avere alcuna rilevanza pratica. Inseguire i miei sogni mi è costato una vita intera e tutte quelle milestone che, pur non togliendomi il sonno, so che, se a un certo punto mi fossi arresa e avessi scelto una vita più semplice – più rispettosa di me stessa, perfino – probabilmente ora avrei una casa (o almeno un affitto che non somigli a quello di uno studente a Bologna nel 2009), una carriera verticale, magari perfino la stabilità necessaria per pensare a un figlio, nel caso mi prendesse bene. Invece mi ritrovo a mandare CV per vendere materassi, perché pare che fare la giornalista culturale sia un hobby che ci si può permettere solo con un secondo lavoro. Se non fosse tragico, sarebbe un film di Nanni Moretti.
Non è che mi aspettassi una gratificazione immediata, ma almeno un qualche segnale che tutto questo stesse portando da qualche parte. Il mio ipotetico libro è lì guardarmi morente perché sono troppo preoccupata del presente per pensare al futuro, più simile a una discesa agli inferi che a una scalata verso il paradiso. Per quanto riceva complimenti nel settore, il tipo di contenuto che produco non è quello di cui ha bisogno il magazine/quotidiano X o Y, che ormai infila pubblicità in ogni angolo – anche dentro gli articoli – pur di riuscire a pagare il minimo salariale ai collaboratori. A questo punto, preferirei non riceverne affatto, di complimenti. Preferirei sapere con certezza di essere un cane maledetto piuttosto che continuare a sospettare che il piacere non sia abbastanza per avere dignità in questo settore, perché non piaci alla gente giusta.
Prima ancora dell’AI, è stato l'ingresso dei social a svuotare tutto. Il consumismo sfrenato, la corsa ai click, alle metriche, ha cancellato ogni spazio che non fosse immediatamente monetizzabile. L’intelligenza artificiale non ha fatto altro che inserirsi in un paesaggio già devastato.
Ne parlavo ieri con il mio ragazzo: ormai Instagram è diventato una vetrina senza interazioni, un posto in cui ricordare di esistere. Nient’altro. Per esempio, io vorrei parlare di libri che ho letto con persone che li hanno letti, e invece mi ritrovo davanti gente che vuole solo essere sommersa di consigli d’acquisto, recensioni polemiche o esaltanti, che vuole vedere infiniti haul di libri che non leggerà mai. Delle riflessioni scaturite dai libri non se ne parla granché. Si è deciso che l’unica passività accettabile è quella che porta a consumare. Onestamente viene voglia di cancellarlo.
fedele dai tempi di “dove sono le mie benzodiazepine?”
Daniele io adesso mi metto a piangere.
Anch'io da allora! Mi aveva colpito il tuo modo di scrivere.