Per essere davvero liberə servono soldi, e l’estate è quella stagione che mi sbatte in faccia che io, i soldi, non li ho. Potrei chiuderla qui, lasciarvi semplicemente questo conciso haiku invece di riempire questa pagina di parole, ma ho molto altro da dire. Come al solito. Non nasco poetessa: nasco prolissa.
Due sere fa ho pubblicato delle storie su Instagram parlando del mio più grande rimpianto: avrei voluto fare l’attrice, e invece non è successo. Me lo diceva sempre anche mio nonno Aldo quando ancora riusciva a capire, senza troppi sforzi, a quale persona della nostra famiglia corrisponde la mia faccia. Me lo dice sempre ancora qualcuno, mi dicono che somiglio a Monica Vitti e a Jasmine Trinca, che ho “quella faccia lì”, che se solo mi togliessi questo difetto di pronuncia alla s e alla z potrei fare grandi cose. Magari non sarei comunque diventata un’attrice, nemmeno dopo anni di studio, dopo aver frequentato il Centro Sperimentale o qualunque altra scuola di recitazione, ma io non ci ho proprio nemmeno provato. Mi sono cacata sotto, come tante altre volte nella vita. In quelle storie su Instagram ho detto una frase che in realtà non è neanche troppo “da me”, una frase che io, quando mi ritrovo a dare consigli ad altre persone, dico sempre al contrario: ho detto di essere - ormai - troppo vecchia per poterci provare. Avevo preso del cortisone per farmi passare l’infezione a due punture di zanzara giganti che ho sulla chiappa sinistra, avevo fumato erba, mi ero pure seccata 30 gocce di passiflora: insomma, non ero proprio lucidissima. In risposta a quelle storie mi è arrivato un dm da una ragazza - una persona molto intelligente e della quale stimo molto il lavoro - che mi ha detto una frase alla quale ho pensato intensamente per tutto il giorno: “Ricky Gervais ha scritto The Office a 38 anni.”
A me dell’età non me n’è davvero mai fregato un cazzo, credo che si percepisca e credo anche che continuerà a non fregarmene un cazzo per il resto della vita. Mi piacciono i miei capelli rosa, mi piace vestirmi come una ventenne su Tik Tok, mi piace andare a ballare e tornare a casa alle 7 di mattina. Sento indubbiamente il peso dell’età, so che vent’anni non li ho più da quindici, so che il mio fisico non regge più cinque città diverse in una settimana e la forza di gravità sta portando le mie tette sempre di più verso il mio ombelico, ma navigo tutto con immensa serenità: dico sempre che invecchiare è un privilegio, e ci credo. Ma se per quanto riguarda l’aspetto estetico e festaiolo riesco a non farmi venire troppe paranoie, per l’aspetto professionale ancora spesso cado nel tranello. L’ho fatto in quella storia su Instagram, lo faccio ancora troppo spesso anche nella vita vera.
Ieri mattina mi sono svegliata male dopo una notte movimentata in preda a un attacco di ansia, e alla ragazza toro puoi togliere tutto ma non il sonno. Ho capito nell’esatto momento in cui ho aperto gli occhi - mentre il solito piccione rompicoglioni faceva il suo verso fuori dalla mia finestra - che sarebbe stata una pessima giornata: ho provato a dare la colpa al fatto che fumo ancora troppe sigarette, nonostante io abbia avuto un attacco ischemico, che bevo ancora troppo caffè , nonostante nemmeno mi piaccia il sapore, e che ho la pressione troppo bassa per poter affrontare serenamente e con forza queste temperature da Paese tropicale courtesy of cambiamento climatico, ma per quanto tutto questo aggravi sicuramente la mia già precaria situazione, io so di avere l’ansia soprattutto perché non so cosa cazzo io stia combinando della mia vita.
L’argomento mi turba molto, mi fa sentire vuota, sfigata, fallimentare, inutile, pigra. Tutti aggettivi che da tutta la vita provo a far camminare molto lontano da me.
E adesso è anche estate, dicevo: la stagione della dimostrazione. Ti mostri di più e senti la necessità di dimostrare a chi ti guarda che va tutto bene, sta tutto girando per il verso giusto. Tutto il lavoro che hai svolto durante l’anno, quei 4 spicci che prendi e la metà dei quali li usi per pagarti l’analisi quando vai in burnout, devi spenderli per far vedere alle altre persone che sei capace a vivere. La festival season, i week-end al mare, i viaggi, le serate con le birrette in piazza. Aspettiamo l’estate per liberarci - almeno superficialmente - dei cappotti fisici e mentali, qualche settimana senza mail e senza divisa.
Sono una persona che è sempre stata capace di togliersi gli sfizi con 4 spicci sul conto: viaggio coi treni regionali o anche coi bus, se necessario, dormo sui divani di chi mi ospita, mangio pizzette rosse nei forni che le fanno ancora pagare 50 centesimi. Ho la fortuna di conoscere tante persone, che tante persone conoscano me, di essere invitata ai Festival e ai concerti (prima più di adesso, anche questo credo sia frutto di come vengono messe da parte le persone di 30 e più anni da una società che crede che esistano date di scadenza anche per le persone e non solo per lo yogurt.) Quest’estate i 4 spicci che guadagno di solito sono ancora meno, tutto quello che farò (che è comunque tanto rispetto a chi non ha il privilegio di poter girare tanto pagata da qualcuno come faccio io) lo farò perché è lavoro. Un bel lavoro, divertente, in mezzo alla musica e con un microfono in mano, ma comunque lavoro. Per il resto non c’è posto.
Ho iniziato il 2024 (e mi sembra ieri) con un solo - grande, gigante, enorme - obiettivo: lasciare definitivamente il mio lavoro “solito” per buttarmi nel lavoro che ancora è un “plus”. Siamo quasi al settimo mese dell’anno e sto fallendo miseramente. è importante - per la mia salute mentale - tenere a mente ciò che mi ha detto la mia amica Flavia: usare “fallente” invece di “fallimento”. Io sto fallendo, in questo momento, ma non ho fallito, in maniera definitiva. Chiudo la prima metà dell’anno con il fatturato più basso degli ultimi 5 anni (sì, nell’anno del lockdown ho guadagnato di più, non credo serva aggiungere altro ), una dose di noia addosso che pesa come una betoniera e la fatica asfissiante di chi sente di non avere più la forza. Lo scorso anno è stato l’anno in cui ho guadagnato di più da quando lavoro: non cifre astronomiche, ma cifre che mi hanno permesso di non stare a controllare l’app della banca ogni giorno per calcolare quanti moscow mule poter bere in una sera. Non ho fatto in tempo a godermi quella serenità, è durata un attimo.
Io queste cose non volevo nemmeno scriverle, perché è un periodo storico così negativo, inumano e pericoloso che mi sembra di lamentami comunque del nulla. Ho un tetto sulla testa, una famiglia dalla quale rifugiarmi se ne ho la necessità, sempre qualcosa che mi tiene occupata la mente.
E queste stesse cose, in realtà, mi ritrovo a scriverle ciclicamente: è anche naturale, nemmeno le persone ricche sono sempre soddisfate, figuriamoci noi co le pezze al culo. Non è certo la prima volta che mi siedo con la testa in mezzo alle mani a cercare di visualizzare una direzione. Non è neanche la prima volta che scrivo sul quadernino con la copertina rosso-Fagnani tutti i progetti che vorrei portare avanti (non ho tempo o voglia di mettermi a fare quelle cazzo di manifestation board, mollatemi.)
Ricky Gervais aveva 38 anni quando ha scritto The Office, io ne ho 35 e non so se tra 3 anni scriverò la nuova The Office, ma posso provarci. E continuo a ripetermi quella frase pensando a quanto ci stiano facendo credere che se non riesci a farcela entro una certa età, allora non ce la farai mai. Complice un sistema che permette a persone di appena vent’anni di comprarsi case in centro a Milano senza neanche accendere un mutuo (e credetemi, lo dico senza ironia: ma beatə loro), quell’età in cui è assolutamente normale non aver ancora trovato la propria strada - cioè la mia, ma anche un’età superiore alla mia - è vista come l’universo del “troppo tardi.” Io non ce l’ho davvero con le singole persone che ce la stanno facendo, che guadagnano quando io guadagno in due anni per un singolo post sui social e che, se smettessero di lavorare domani, potrebbero comunque campare con un ottimo tenore di vita per i prossimi 10 anni. Se mi offrissero 60k per un post, io li accetterei. Ce l’ho con un sistema fasullo e fallace, che distrugge le nostre menti portandoci a incolparci continuamente, a preoccuparci di spendere due euro per un pacco di pasta integrale. Ce l’ho con chi ancora si riempie la bocca con la hustle culture, col se vuoi puoi, col fatti il culo e sarai ripagatə. A parte qualche hater su Tik Tok che non conosce minimamente la mia storia e non ha mai letto il mio cv, qualcuno ha davvero il coraggio di dirmi che non mi sono fatta il culo? Quanto devo farmene, ancora? Che cosa ho ancora da dimostrare? Se fossi nata 10 o 15 anni dopo, se avessi iniziato a usare i social a 16 anni, adesso sarei dove vorrei essere?
“Sei brava” me lo dicono spesso, e fa bene sentirselo dire: me lo dicono quando consegno un progetto, quando scrivo qualcosa, me lo hanno detto quando ho mandato il manoscritto del mio libro, quando salgo su un palco con un microfono in mano, quando pubblico un video. Sono brava, ma sono brava abbastanza? E se sono brava abbastanza, allora cosa mi manca?
Eppure Alessandro Cattelan, che di anni ne ha 44 e lavora in tv da più della metà, è ancora considerato il giovane, troppo giovane per la prima serata.
Siamo fuckin’ millennial: con tanta esperienza ma poca leggerezza. Tanta cazzimma ma poca pazienza.
Quindi sono troppo vecchia o troppo giovane? E se, invece, non fossi nessuna delle due cose? Sono confusa, sempre più confusa.
Ho troppi pochi followers per poter puntare a essere presa per grandi progetti, ma ne ho abbastanza per finire sotto l’hashtag influcirco. Ho troppi anni di esperienza lavorativa ma troppo pochi per poter essere presa in considerazione come senior. Ho troppi sogni e poche certezze.
È troppo facile liquidare sempre tutto alla semplice rosicata di un’invidiosa: non si apre mai una discussione su quanto sarebbe giusto che qualunque persona avesse le stesse opportunità di arrivare dove vuole arrivare, basandosi solo su quello che sa fare e non sui numeri, di qualunque natura, che siano i follower, gli anni passati su questa Terra o i soldi, guadagnati o ereditati. Non parlo di quella spicciola meritocrazia tanto cara ai fascisti, una parola abusata in maniera scorretta per portare avanti ideali classisti, che sono l’esatto contrario della meritocrazia, anche perché io di fascista ho - purtroppo - solo il luogo in cui sono cresciuta, e non per scelta mia (nemmeno dei miei genitori, è sempre meglio ribadirlo), ma di un sistema culturale che dovrebbe ricominciare a grattare la superficie, ad arrivare alla sostanza della persona, ad analizzare le capacità non in base a un numerino.
Ho scritto un podcast - e anche se non posso decidere se sia valido o meno, almeno non è l’ennesimo podcast di un maschio etero che ci spiega la vita o l’ennesimo podcast dell’influencer che intervista altrə influencer. Ho provato a proporlo in giro, nessuno ha voluto produrlo, quindi in autunno me lo registro da sola. In questo non ho bisogno di un grande investimento: due microfoni decenti e via. Ma per tutti gli altri progetti non posso cavarmela così facilmente.
Ri-cambio città. Non domani, ma neanche tra un anno. Sto bene a Bologna, è una città che mi ha rimessa al mondo quando ormai pensavo di non poter essere rianimata (per la prima volta non me la sento di imputare tutte le cose horror che mi sono successe alla città, il fatto che mi siano successe qui è un caso) ma forse non è la città giusta per arrivare dove voglio arrivare.
Metto in conto di aver commesso degli errori: sicuramente poca furbizia, decisamente poca capacità nel vendermi. Serve a poco dare sempre la colpa al mondo e al capitalismo. Anche se il mondo e il capitalismo continuano a farmi schifo.
Ma più di così, cosa devo fare? Quanta pazienza mi rimane? Quanta forza di volontà devo ancora tirare fuori dal cappello?
Non ho mollato il mio lavoro principale, e non lo mollerò a breve. Non me lo posso permettere. Continuo a rispondere ad annunci di lavoro che riguardano il mondo che vorrei lasciare. Questo non vuol dire che io non metta il 100% della mia professionalità in questi lavori, e non vuol dire nemmeno che non mi piacciano. Non posso iscrivermi a una scuola di recitazione perché non potrei pagarmela. Non posso concentrare tutte le mie forze mentali e tutto il mio tempo nel cercare di costruire il futuro che vorrei. Non posso aspettare la chiamata di qualcuno. Non posso passare la giornata a creare magici contenuti social per cercare di farmi notare. Non ho tempo, devo campare.
Ma continuo a portare avanti due strade parallele, finché ce la faccio. Finché la mia mente ha spazio per tutto. Finché l’ansia non prenderà il sopravvento di nuovo. Non sarà il 2024 il mio anno, magari sarà il 2025. Magari manco quello e oh, che cazzo vi devo dire, mi troverete sempre qua a bestemmiare in questa newsletter.
Ma Ricky Gervais ha scritto The Office a 38 anni. Magari succede pure a me. Magari succede pure a te. Non sei vecchiə. Tienilo a mente, sempre.
Ho perso il lavoro qualche settimana fa. Dopo diverse settimane di cassa integrazione mi hanno detto che non possono rinnovarmi perché, per l'appunto, non c'è lavoro. Amavo stare lì, era il primo ruolo lavorativo che mi piacesse davvero con tutti i suoi difetti, pensavo che ci sarei invecchiata in quell'azienda. Ho dovuto mettere da parte a tempo indeterminato tanti progetti a cui tenevo, questo è quello che mi rode di più. Una delle prime cose che ho pensato quando ho dovuto rimettermi a spulciare fra gli annunci di lavoro è stata "ma chi mi prende a 32 anni, sono vecchia ormai" e "ma che periodo di merda l'estate, la gente con un lavoro è in ferie e non pensa a me". Forse questa mail inaspettata (non ricordavo di essere iscritta alla newsletter) è arrivata nel momento giusto.
Sì, sei brava abbastanza.
Lo siamo tutte ❤️